Nessuno ormai può ignorare quanto sia diffuso purtroppo il fenomeno delle morti bianche, senza distinzioni di aree geografiche o settore di appartenenza e in generale quanto sia alto e preoccupante anche il numero degli infortuni sul lavoro non mortali.
Un’emergenza di cui si parla ormai da anni, con un’attenzione cresciuta nell’ultimo periodo, ma da questa maggiore consapevolezza non deriva poi alcun miglioramento.
Proprio per questo da un po’ di tempo mi chiedo come sia possibile incidere in maniera efficace in modo da poter finalmente invertire la rotta.
Personalmente ho da tempo escluso che la soluzione possa essere l’addebitare il fallimento a carenze normative; sicuramente c’è ampio margine per miglioramenti e semplificazioni, sarebbe uno strumento in più, utile, ma forse non ancora risolutivo.
Parlando di normativa mi riferisco ad ogni suo aspetto: formazione, organizzazione aziendale, obblighi relativi a valutazione dei rischi, requisiti di attrezzature, macchine, DPI ecc.
La domanda che mi pongo è quindi questa: esiste veramente una sensibilità, una coscienza in materia di sicurezza sul lavoro? Quanti lavoratori, datori di lavoro e in generale quanti di tutti i soggetti coinvolti vedono nella sicurezza sul lavoro un modo di vivere, uno stile, o non piuttosto uno dei tanti adempimenti che bisogna con fatica rispettare?
Penso quindi che una delle risposte che oggi siamo chiamati a dare, come attori della sicurezza sul lavoro, sia non solo formare le persone e consegnare attestati, ma soprattutto educare le persone alla sicurezza, proprio nel senso puro del termine: educare deriva dal latino e significa “trarre fuori” e proprio questo dovrebbe essere la missione di tutti coloro che incontrano le aziende e che ricoprono il ruolo di formatori. Oltre che adempiere all’obbligo di legge bisogna riuscire a cambiare il modo di pensare ed agire dei lavoratori; un cambiamento che in realtà è già dentro in ognuno di noi (da qui l’educare): nessun lavoratore cerca di farsi male, nessuno vuole incorrere nell’infortunio ma spesso vengono messi in atto comportamenti che conducono al danno. Ma se si porta le persone a ragionare in modo “sicuro”, a valutare correttamente le conseguenze del proprio agire forse riusciremmo ad invertire la rotta, a garantire effettivamente una maggiore sicurezza per i lavoratori.
Gli strumenti per raggiungere l’obiettivo passano naturalmente dai requisiti dei formatori: sono loro i primi a dover credere nell’importanza di incidere nella vita lavorativa di chi frequenta i corsi e non limitarsi ad essere dei semplici amplificatori di concetti o norme che rimangono poi in un’aula.
Non voglio cadere in banalità o ovvietà, ma credo fermamente che se un formatore vede nel suo compito solo un lavoro o utili voci per completare il proprio curriculum ha sbagliato approccio: iniziamo a pensare a chi eroga i corsi non solo come ad un formatore ma ad un educatore. Penso che i nostri orizzonti si amplierebbero e come formatori-educatori diventeremmo un tassello fondamentale per aggredire finalmente le statistiche dietro le quali non dimentichiamoci ci sono le vite e le storie di tante, troppe persone.
Massimo Ramasco – Sede A.N.Co.R.S. Lombardia