L’errore umano è imprevedibile e involontario, cercare quindi di prevenirlo è difficile. Esistono tuttavia determinate condizioni che lo rendono più favorevole. Conoscerle, aiuta a ridurne il rischio.
Il primo dei fattori che, in un’organizzazione, può aumentare la probabilità d’errore è il livello qualitativo delle informazioni disponibili per l’operatore.
Ad esempio, ci potrebbe essere carenza di informazioni in grado di orientare e sostenere una determinata decisione dell’operatore nella conduzione di una macchina o impianto.
Potrebbero esserci informazioni contraddittorie ma che coesistono inducendo a commettere un errore come, ad esempio, segnaletica di sicurezza provvisoria che coesiste con segnaletica di sicurezza permanente.
L’errore potrebbe essere indotto anche da una errata e ripetuta segnalazione di malfunzionamento da parte di un sensore che provoca l’effetto da “Pierino e il lupo” con la conseguenza che la segnalazione sarà sempre ritenuta errata anche quando non lo è.
Potrebbe verificarsi anche il caso in cui, ad esempio, un indicatore fornisca una informazione che viene percepita dall’operatore come riferita a qualcosa d’altro.
Un altro classico fattore che aumenta la probabilità d’errore è la disposizione dei comandi. Questi, quando non corrispondono a ciò a cui siamo abituati come, ad esempio, la riduzione del flusso d’acqua girando un rubinetto verso destra, aumentano significativamente la probabilità di commettere un errore.
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Un altro fattore che può contribuire ad aumentare la probabilità di commettere un errore è il livello quali-quantitativo della comunicazione.
Tra le cause prime dell’evento avvenuto, si trova un errore compiuto a causa di un’errata o mancata comunicazione.
In questi procedimenti penali si è avuto modo di verificare che:
- gli operatori avevano comunicato tra loro ma non si erano capiti a causa di una errata interpretazione di una informazione o per la cattiva ricezione dell’informazione che si voleva trasmettere;
- gli operatori non erano riusciti a comunicare tra loro.
Le organizzazioni più evolute, per ovviare a tale problema, sono solite introdurre delle modalità particolari di comunicazione. L’esempio più noto sono le forme di comunicazione nel mondo aeronautico che tutti conosciamo…… se non altro per la visione di film in TV che ci permettono di ascoltare le comunicazioni in cabina di pilotaggio tra piloti e centri di controllo.
Certamente queste modalità aiutano significativamente a ridurre la probabilità di commettere degli errori in quanto migliorano la percezione; va però detto che tali modalità comunicative sono efficaci quando i contenuti dell’informazione da scambiare sono prevedibili.
Inoltre, nel variegato mondo del lavoro, non è pensabile adottare ovunque tali formalismi per migliorare il livello quali-quantitativo della comunicazione in quanto estremamente impegnativi nella loro formulazione e fortemente impattanti riguardo le risorse cognitive degli operatori impegnati.
Diverse organizzazioni evolute, invece, prediligono interventi di sensibilizzazione dei gruppi di lavoro (squadre, reparti, ecc.) riguardo queste problematiche comunicative fornendo loro una serie di strumenti operativi “tailor made” in funzione dello specifico contesto socio-ambientale in essi operano.
Del resto, vale la pena ricordare, che la comunicazione tra due persone sarà sempre più efficace, riducendo la probabilità di una scorretta interpretazione, tanto più ognuna di queste persone conosce il lavoro dell’altra e lo specifico processo produttivo in cui è coinvolta.
Chi scrive, in base all’esperienza professionale accumulata, ha avuto modo di verificare che gli errori di comunicazione avvengono molto spesso tra persone appartenenti a squadre o reparti diversi e non tra persone appartenenti allo stesso gruppo di lavoro.
Ecco, quindi, queste organizzazioni spingere molto nell’organizzare ed attuare delle riunioni iniziali preparatorie all’esecuzione dei lavori specialmente quando l’attività da eseguire:
- coinvolge persone che, all’interno dell’organizzazione, abitualmente non collaborano tra loro;
- l’ambiente in cui si deve operare può essere oggetto di variazioni che possono alterare il livello di tutela della salute e sicurezza sul lavoro;
- l’attività da svolgere non è mai stata eseguita prima o avviene raramente.
Altro fattore importante da non trascurare è la condizione delle persone.
Ad esempio, anche un evento a forte carica emotiva può influire negativamente sulla condizione delle persone.
Anche l’affaticamento psico-fisico è in grado di incidere negativamente specialmente quando la durata del lavoro si è prolungata ben oltre la normalità.
Il lavoro a turni, specialmente quello notturno, porta ad una riduzione delle risorse che le persone possono mobilitare per l’esecuzione del lavoro. Le buone prassi, in questo caso, ci ricordano che se un intervento particolarmente complesso e non abituale deve essere eseguito durante il turno notturno, è necessario mobilitare maggiori risorse per la sua esecuzione ed evitare, così, che ciò concorra, come chi scrive ha avuto modo di verificare, al verificarsi di incidenti ed infortuni.
Un altro classico fattore che influenza la probabilità di commettere un errore è la tendenza, quando si deve prendere una decisione, ad affidarsi in modo eccessivo alla prima informazione che ci viene offerta. Nel momento in cui questo punto di riferimento viene fissato, il giudizio viene preso per differenza da quest’ultimo. L’effetto può essere molto potente, tanto che si manifesta anche la tendenza a far aderire altre informazioni a quanto prestabilito (cioè si cerca di giustificarle o considerarle coerenti con ciò che è stato preso come riferimento). Siamo di fronte, quindi, all’errore per ancoraggio. Una delle conseguenze è quella sottostimare le informazioni che dovrebbero metterci sull’avviso del fatto che abbiamo preso una direzione sbagliata.
L’errore per “ancoraggio” può non essere soltanto individuale ma riguardare tutto il gruppo di lavoro/squadra. A questo punto, solo un soggetto esterno, non coinvolto nell’evento, potrà analizzare ciò che è avvenuto ma dovrà avere accesso a tutte le informazioni disponibili in modo da poter risalire alle cause prime che hanno concorso a generare l’errore.
Per diminuire la probabilità di questo rischio di errore è necessario che:
- sia possibile effettuare questa analisi in tempo reale;
- l’analisi sia considerata una prassi consueta e condivisa in questi casi;
- siano identificati scenari di eventi in cui la fase iniziale è simile;
- sia sviluppata la capacità di diffidare di somiglianze ingannevoli relative agli scenari di eventi che presentano analogie.
Chi scrive ha operato come CTP in eventi gravi dove sono stati coinvolte intere squadre di lavoratori. Qui si è avuto modo di analizzare gli scenari evidenziando che anche le condizioni del gruppo di lavoro possono avere aumentare la probabilità del rischio di errore.
Tra le situazioni riscontrate si è avuto modo di notare che la probabilità di errore aumenta significativamente quando, nei gruppi di lavoro, si riscontra:
- conflittualità con il management;
- sanzioni disciplinari percepite come ingiuste;
- messaggi del management non accettati;
- demotivazione diffusa tra i componenti del gruppo di lavoro.
In particolare, la demotivazione, come ampiamente dimostrato da studi effettuati almeno negli ultimi cinquanta anni, agisce negativamente sulla percezione. Infatti, il personale demotivato tende a:
- ridurre le capacità percettive in generale e, in particolare, riguardo i segnali di disfunzione organizzativa a bassa intensità;
- prendere in considerazione un numero minore di fattori ai fini dell’elaborazione delle informazioni e delle conseguenti azioni da attuare;
- ridurre le capacità percettive riguardo l’errore di un collega.
Le condizioni del gruppo di lavoro possono essere influenzate anche da improvvisi cambiamenti della composizione del gruppo come, ad esempio, da un turnover spinto. In questi casi, sempre le buone pratiche, ci suggeriscono di prevedere un tempo minimo per ricreare l’affiatamento.
Le caratteristiche organizzative possono influire significativamente sulla probabilità di errore.
Sulle patologie dell’organizzazione se ne era parlato in un precedente articolo ( Sicurezza e salute nelle aziende: patologie ricorrenti e possibili cure). Indubbiamente, queste aumentano significativamente la probabilità di errore.
Tra queste possiamo citare:
- la pressione sulla produzione esercitata direttamente (azienda) e indirettamente (clienti) che avvicinano l’organizzazione al limite del suo funzionamento;
- le contraddizioni tra sicurezza e produttività quasi sempre risolte a favore della produttività;
- la tendenza, nell’organizzazione, a vedere la segnalazione di un potenziale rischio da parte di uno o più lavoratori come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi produttivi fissati;
- la svalutazione della segnalazione di un potenziale rischio;
- la valorizzazione dell’approccio del “non avere rotture di balle” con la conseguenza che il personale e anche gli appaltatori tendono a non segnalare le anomalie riscontrate e ricercare una soluzione “fai da te” spesso inefficace;
- sempre nell’approccio del “non avere rotture di balle”, il trascurare le segnalazioni, comunque pervenute, in quanto giudicate provenienti dai soliti “rompiballe”;
- la destabilizzazione dei gruppi di lavoro conseguenti ai continui cambiamenti organizzativi e a direttive contraddittorie
- il distacco tra le campagne di comunicazione del management e gli operatori sul campo in quanto esse risultano avulse dalla realtà operativa e di difficile comprensione.
Questa sintomatologia è un chiaro segnale che la tutela dell’integrità psicofisica del personale è fortemente a rischio.
Non è difficile intuirlo.
Per prevenire tutto ciò è necessario costruire una “Cultura della Sicurezza” fondata su solide basi. Su questo argomento se ne è parlato nell’articolo “ Cosa si intende per Cultura della Sicurezza”.
Il nostro sistema prevenzionale è tutto fondato su controlli e sanzioni. Quindi, chi ha letto fino a questo punto si domanderà (essendo sicuramente influenzato da questo approccio che, nonostante si sia dimostrato palesemente inefficace, viene ancora portato avanti dai soliti profeti dell’integralismo repressivo ancora molto ascoltati anche a livello governativo), se l’errore debba essere sanzionato o meno.
A parer di chi scrive, sanzionare un errore commesso da un lavoratore e individuato in seguito ad un’analisi, è una grandissima sciocchezza in quanto fortemente controproducente per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Se si sanzionassero gli errori individuati che, come già detto nel precedente articolo del mese scorso, sono involontari ci troveremmo davanti le seguenti situazioni:
- l’organizzazione aziendale tenderà a non analizzare a fondo l’evento per la ricerca delle cause prime e dei fattori che aumentano la probabilità che l’errore venga commesso, visto che l’errore stesso costituisce la prima spiegazione di quanto avvenuto;
- la persona che ha commesso l’errore e che viene sanzionata si ritrova in un loop emozionale negativo che non certo aiuta a ridurre la probabilità di errori futuri;
- il gruppo di lavoro può valutare come ingiusta la sanzione e, quindi, ritrovarsi anch’esso in un loop simile a quello della persona sanzionata.
Cosa fare per evitare l’errore umano?
A parer di chi scrive, un’organizzazione deve stabilire una specifica politica che si occupi degli errori che tenga conto di quanto segue:
- gli errori sono, per definizione, involontari e, in quanto tali, non ha alcun senso sanzionare un errore isolato;
- quando gli errori sono ripetuti e della stessa natura, è fondamentale verificare se questi sono compiuti da più lavoratori che svolgono la stessa mansione;
- se gli errori della stessa natura sono compiuti da più lavoratori che svolgono la stessa mansione, allora si è di fronte ad errori latenti tecnici e/o organizzativi;
- se gli errori ripetuti non sono compiuti da più lavoratori che svolgono la stessa mansione allora si è di fronte ad un problema individuale che va affrontato in modo interdisciplinare al fine di verificare se, ad esempio, si tratta di un problema di competenze e/o sanitario.
Con questo tipo di politica concretamente messa in atto il personale accetterà di buon grado quando, di fronte ad errori ripetuti dalla stessa persona nella stessa mansione e senza che vi siano carenze formative o problemi sanitari o altro, l’organizzazione parlerà di negligenza per un operatore che commette gli errori ed agirà di conseguenza.
Che fare di fronte ad una violazione? Sanzionare o no?
Innanzi tutto, va chiarito che non tutte le violazioni possono essere trattate allo stesso modo.
Infatti, alcune regole hanno un valore assoluto come, ad esempio, l’uso del casco protettivo per i lavori in galleria. Quando questa regola viene mostrata come tale diventa un “must”; inoltre, se non ci sono situazioni in cui non risulta necessario infrangere la regola dell’uso del casco in galleria, tutto il personale operante valuterà come corretta una sanzione comminata ad un operatore che non usava il casco.
Quando invece in un’organizzazione una regola era sistematicamente infranta fino a ieri senza che nessuno obiettasse alcunché, il volerla far divenire come assolutamente imprescindibile necessiterà di un’attenta strategia organizzativa e comunicativa (informazione, motivazione e tempo di preavviso) prima di passare a sanzionare eventuali trasgressori.
Nel caso in cui le regole non vengono rispettate dal gruppo di lavoro perché la loro applicazione concreta risulta complessa e pesante dal punto di vista psicofisico, visti gli altri obblighi derivanti dalla specifica situazione, un’eventuale sanzione ad un lavoratore produrrà una reazione negativa del gruppo più o meno manifesta.
Si possono verificare anche casi di “violazione obbligatoria” derivanti dal fatto, tutt’altro che raro, che le varie regole sono tra loro incompatibili perché, magari, rimandano ad ordini contraddittori. In questo caso, applicare una sanzione avrebbe un effetto dirompente facendo sì che l’azienda perda la propria credibilità, il personale perda la fiducia nel management e tutte le regole vengano percepite come nulla di più che dei “pezzi di carta” di nessun valore.
Quando invece nel gruppo di lavoro c’è la “mela marcia” e cioè un operatore che ripetutamente assume atteggiamenti e comportamenti che mettono a rischio la propria e l’altrui sicurezza ma il gruppo non riesce ad esercitare la pressione sociale per “ricondurlo nei ranghi”, la mancata irrogazione della sanzione da parte dell’azienda farebbe perdere credibilità al management.
Inutile dire che le violazioni compiute con il deliberato volere di nuocere, non solo richiedono una sanzione disciplinare ma anche e soprattutto una denuncia all’Autorità Giudiziaria.
In conclusione, una eventuale sanzione per errori ripetuti o per una violazione deve essere l’output di un processo di analisi approfondita che tenga conto sia delle regole formali dell’organizzazione che delle regole informali dei gruppi di lavoro in modo da poter così contribuire realmente alla sicurezza sul lavoro.