La pubblicazione curata dal Dimeila riepiloga i principali agenti chimici frequentemente adoperati negli ambienti di lavoro e potenzialmente nocivi per la capacità riproduttiva, indicando le misure possibili di prevenzione.
Che incidenza possono avere sulla fertilità umana alcune sostanze chimiche utilizzate negli ambienti lavorativi? Dove sono maggiormente rintracciabili? E quali azioni di prevenzione possono essere messe in campo nel rispetto delle norme di salute pubblica e di sicurezza sul lavoro?
Vuole contribuire a fare luce su questa tematica, anche nel contesto del dibattito sul cd. “inverno demografico” che colpisce le società occidentali, un agile factsheet dell’Inail, curato dai ricercatori del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) e liberamente consultabile fra le pubblicazioni online dell’Istituto.
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Il quadro normativo di riferimento nazionale e comunitario
Come spiegano gli autori, i fattori di rischio per la salute riproduttiva in ambiente di lavoro possono essere di diversa natura, e quelli dovuti ad agenti chimici risultano essere tra i più analizzati. Attualmente, nel decreto legislativo 81/2008 la gestione delle sostanze reprotossiche ricade nel capo I del titolo IX, dedicato alle sostanze pericolose; considerando però che a livello europeo il regolamento REACH le annovera tra le sostanze chimiche di “grande preoccupazione”, a marzo di quest’anno è stata emanata la direttiva Ue 2022/431, che prevede misure di gestione più stringenti in caso di esposizione lavorativa a questi agenti, accomunandoli alle sostanze cancerogene e mutagene.
D’altronde, se nella normativa per la tutela dei lavoratori è stata posta molta attenzione alla tutela delle donne in gravidanza, non può dirsi altrettanto per la possibile esposizione dei lavoratori, i maschi in particolare, alle sostanze reprotossiche.
Dalla chimica al commercio, l’esposizione al rischio è presente in cicli produttivi diversi
Nell’Unione europea, le sostanze chimiche con elementi di pericolosità per la riproduzione umana sono calcolate in circa 150. Includono agenti molto differenti, coinvolti in cicli produttivi altrettanto diversi quali la produzione di lacche e vernici, i prodotti per la pulizia, la fabbricazione di plastica e gomma.
L’esposizione è stata riscontrata inoltre anche in settori non industriali, come nell’estetica, nella cura della persona e perfino nel commercio al minuto, per via del contatto con la carta termica degli scontrini. La pubblicazione riporta, in una chiara tabella riassuntiva, un elenco indicativo degli agenti chimici più frequenti e degli ambienti di lavoro potenzialmente coinvolti nella loro esposizione, insieme alle evidenze sanitarie riscontrate in tema di capacità riproduttiva.
Le azioni di prevenzione
Il factsheet si chiude con un focus sull’attivazione di misure specifiche di prevenzione. Dopo aver evidenziato l’utilità di piani di salute basati su alimentazione, movimento, buone abitudini di vita, conoscenza dei tempi di fertilità maschile e femminile, il documento rimarca l’importanza di azioni mirate e attente da parte dei datori di lavoro, come l’eliminazione o la sostituzione delle sostanze reprotossiche dagli ambienti di lavoro. Se questo non fosse possibile, viene raccomandato il coinvolgimento del medico competente nella definizione dei protocolli di sorveglianza sanitaria mirati al rischio specifico, per individuare celermente eventuali elementi in grado di orientare verso una specifica tutela sanitaria dei lavoratori.