Le principali aree tematiche di uno studio sul rapporto tra smart working e benessere del lavoratore: dedizione al lavoro, tecnostress, mediatori del rapporto, misure da adottare per andare incontro alle esigenze organizzative.
Nel 2021 è stata eseguita, sui database scientifici SCOPUS, EBSCO e PsycINFO, una ricerca da parte di L. Marino e V. Capone, pubblicata sullo European Journal of Investigation in Health, Psychology and Education. Si tratta di una ricerca sulle produzioni scientifiche recenti riguardanti il rapporto tra costrutti: “smart working”, “concezione del lavoro” (prevalentemente incentrata sulla flessibilità e autonomia del lavoratore) e “benessere/malattia nel contesto organizzativo” (prima e durante la pandemia COVID-19). La ricerca – di cui restituiamo una sintesi degli elementi essenziali – è stato condotta secondo i principi delle revisioni sistematiche, che seguono le linee guida di PRISMA (Preferred Reporting Items for Systematic Review and Meta-Analysis for qualitative synthesis).
Sono state in esso focalizzate tre principali aree tematiche:
- smart working e dedizione al lavoro
- smart working e tecnostress
- mediatori del rapporto tra smart working e benessere.
Area smart working e dedizione al lavoro
Lo studio evidenzia che, in epoca di pandemia, il coinvolgimento dei lavoratori da parte dei responsabili delle risorse umane (HR) potrebbe aver avuto un effetto positivo sul loro impegno. Infatti, è stato rilevato che se i lavoratori percepiscono di essere coinvolti nel processo decisionale e nella gestione del cambiamento, l’impegno e i comportamenti positivi verso l’organizzazione aumentano.
Dalla ricerca emerge che le azioni partecipative, volte a sostenere i cambiamenti nei metodi di lavoro e nelle procedure richieste ai dipendenti, stimolano sentimenti positivi: è come se il cambiamento non venga percepito come imposto “dall’alto”, ma come conseguenza diretta del proprio impegno. La partecipazione attiva sembra dunque essere un ottimo antidoto alla demotivazione del lavoratore nei periodi critici. Gli atteggiamenti positivi e l’apertura al cambiamento, come frutto dell’acquisizione di strategie di coping proattive, risultano in grado di modulare la reazione tra la resistenza individuale al cambiamento e la sua attuazione a livello organizzativo.
Le strategie di coping proattivo dovrebbero essere pertanto opportunamente promosse e rinforzate da parte delle Risorse Umane attraverso programmi di sviluppo. Una volta acquisite tali strategie, esse contribuiscono a rafforzare l’immagine stessa del cambiamento e dell’innovazione in atto. Inoltre, per quanto riguarda la salute mentale dei dipendenti, una cultura organizzativa positiva è in grado di svolgere un ruolo di supporto, proteggendo dai sintomi di stress, ansia e depressione. Pertanto, il coinvolgimento e la partecipazione sono in grado di trasformare una situazione di emergenza in un’opportunità di crescita. Al contrario, si dimostra che una cultura organizzativa percepita come “distante” influisce negativamente sull’implementazione dello smart working.
Area smart working e technostress
Secondo l’indagine in questione, il technostress si articola in diverse dimensioni:
- Sovraccarico tecnologico: le persone percepiscono una discrepanza tra i propri ritmi di lavoro e i tempi dettati dalla tecnologia, avvertendo difficoltà nell’adattarsi al cambiamento delle abitudini di lavoro;
- Invasione tecnologica: la percezione che i confini che separano il contesto lavorativo dalla vita privata non siano abbastanza netti;
- Complessità: dovuta all’uso delle tecnologie, ovvero situazioni in cui il lavoratore percepisce le proprie competenze come cronicamente inadeguate di fronte ad un compito da svolgere;
- Incertezza lavorativa derivante dalla tecnologia: quando questa è percepita come una minaccia alla stabilità del lavoro e come un fattore che contribuisce alla perdita del posto di lavoro;
- Incertezza: dovuta al disorientamento percepito di fronte ai continui cambiamenti nel mondo tecnologico e la conseguente necessità di apprendimento e formazione continua.
Livelli più elevati di technostress sono stati riscontrati soprattutto tra coloro che consultano applicazioni e messaggistica istantanea da remoto, durante e dopo il lavoro, e controllano la posta elettronica durante le pause di recupero. Uno studio comparato condotto durante il COVID-19 nel periodo precedente, ha evidenziato che il sovraccarico di lavoro deriva dall’abuso dei dispositivi digitali; ma anche da una gestione della vita personale e familiare particolarmente complicata. Va da sé che entrambi questi aspetti, sommandosi, contribuiscono ad aumentare i livelli di stress tecnologico tra i lavoratori. A ciò si può aggiungere, come hanno suggerito Oh e Park (2016), che una certa tendenza da parte del lavoratore a forme anche lievi di dipendenza dal lavoro (o sindrome da workaholism) e in più un capo con caratteristiche autoritarie – che concede poca autonomia – quando si presentino in modo concomitante, potrebbero determinare significativi livelli di technostress.
Area mediatori del rapporto tra smart working e benessere
Felstead e Henseke (2017) hanno rilevato che l’autonomia del lavoratore in merito alla possibilità di scegliere se aderire o meno a pratiche di lavoro a distanza svolge la funzione di mediazione tra l’introduzione dello smart working in azienda e il benessere, quest’ultimo considerato come soddisfazione sul lavoro e impegno effettivo.
Grant et al. (2013, 2019) hanno riscontrato che le competenze personali e organizzative svolgono un ruolo di mediazione, nello smart working, tra equilibrio e benessere, così come riveste importanza la fiducia nei confronti del dipendente, per il lavoro che egli deve portare a termine, in tempo e con la qualità richiesta.
Il tempo trascorso fuori dall’ufficio può avere un effetto positivo sia per il datore di lavoro che per il dipendente in termini di riduzione del pendolarismo e di riduzione dello stress legato agli spostamenti e allo svolgimento dei compiti domestici. Al contrario, emerge con forza il problema della gestione dei confini tra tempo personale e tempo di lavoro, il quale incide sensibilmente sulla salute del lavoratore.
In conclusione, le determinanti del benessere sono: la comunicazione efficace con i colleghi, l’esistenza di relazioni al di fuori dell’orario di lavoro, il supporto dei membri del gruppo e le interazioni con i familiari.
Le variabili che si ritiene medino negativamente nella relazione tra benessere e smart working sono: l’isolamento dai colleghi, le distrazioni familiari, la mancanza di suggerimenti sulle pratiche lavorative, il mancato equilibrio tra i tempi di lavoro e la scarsa capacità di progettare il lavoro in autonomia.
Bisogna anche aggiungere che la contingenza pandemica ha comportato costi elevati sul piano soggettivo per i lavoratori come: un notevole dispendio di energia cognitiva, necessario ad apprendere nuove procedure e a modificare le routine lavorative connesse al mantenimento dei livelli di produttività.
In estrema sintesi, il coinvolgimento dei responsabili delle risorse umane (HR) nel processo decisionale e nella gestione del cambiamento non solo influisce sull’impegno e sui comportamenti positivi del dipendente nei confronti dell’organizzazione, ma svolge anche una funzione protettiva in modo particolare in periodi critici, come durante l’introduzione dello smart working nello scenario pandemico.
Le misure da adottare per andare incontro alle esigenze organizzative
Da una recente ricerca empirica a livello internazionale emerge che, per quanto la produttività sia aumentata nei mesi corrispondenti al lockdown, i lavoratori si sentono incerti sul futuro. Il 40% dei dipendenti intervistati afferma infatti che la propria azienda non ha ancora condiviso alcuna visione sulle modalità di lavoro post-pandemia.
Più della metà dei dipendenti intervistati ha dichiarato che vorrebbe che la propria azienda adottasse un modello di lavoro ibrido, più flessibile, in cui si alternino giornate di lavoro in sede con il lavoro da remoto. Un modello ibrido può aiutare le organizzazioni a ottenere il massimo dal dipendente, ovunque risieda, a ridurre i costi e a rafforzare le prestazioni organizzative. Infatti, è risaputo che l’ansia riduce la soddisfazione sul lavoro, influisce negativamente sulle relazioni interpersonali con i colleghi e diminuisce le prestazioni lavorative. La fonte principale di questo diffuso stato ansiogeno deriva secondo la ricerca dal fatto che i dipendenti non hanno ancora sentito parlare sufficientemente da parte dei loro datori di lavoro dei piani operativi legati agli accordi di lavoro post-COVID-19. Le organizzazioni potrebbero aver semplicemente annunciato l’intenzione generale di abbracciare il lavoro virtuale ibrido in futuro, senza però aver condiviso linee guida, politiche, aspettative e approcci concreti e dettagliati. Dunque, la mancanza di specifiche riguardanti il lavoro da remoto lascia i dipendenti incerti e ansiosi.
Politiche del personale chiare: il punto di vista dei lavoratori
Infine, è stato chiesto ai dipendenti di indicare le 5 politiche aziendali che potrebbero migliorare i livelli di benessere e produttività all’interno delle aziende. Ecco i risultati:
- Orari chiari di lavoro e aspettative su quando essere online, con flessibilità al di fuori di queste ore (indicato dal 34% degli intervistati)
- Strumenti di collaborazione online efficaci, standardizzati e integrati (indicato dal 29% degli intervistati)
- Strategia di ascolto e di risposta per stabilire una comunicazione utile a fornire informazioni su ciò che funziona e non funziona (indicato dal 27% degli intervistati)
- Organizzare piccoli eventi regolari di connettività del team per facilitare la coesione sociale (indicato dal 26% degli intervistati)
- Più formazione sulle tecnologie digitali e sugli strumenti per il lavoro a distanza (indicato dal 25% degli intervistati)
- Promuovere politiche di rimborso per le configurazioni home-office necessarie al lavoro a distanza (indicato dal 25% degli intervistati).
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