Tornano a crescere le vittime sul lavoro. Il 12% in più nei primi tre mesi dell’anno

Una strage infinita. Una strage che come certificano i dati dell’Inail dopo molti anni di discesa sono tornati ad aumentare in modo evidente.

Gli infortuni mortali dal 2000 al 2016 si erano dimezzati; nel 2017 e in questo scorcio di 2018 sono tornati a crescere. Nel 2017 le denunce all’Inail di «infortunio sul lavoro con esito mortale» sono state infatti 1029, undici in più rispetto all’anno precedente (+1,1%). Pesano, spiega l’Inail, un maggior numero di incidenti «plurimi», che hanno cioè causato la morte di almeno due lavoratori. Sono gli extracomunitari, con undici casi in più e 119 caduti, a pagare sul fronte delle morti del lavoro nel 2017 un prezzo relativamente più alto, mentre rimane invariato il numero dei casi mortali di infortunio per lavoratori italiani e comunitari.

A cosa è dovuta questa preoccupante inversione di tendenza?

Per gli esperti è «colpa» prevalentemente della ripresa economica. Che si è accompagnata a un maggior utilizzo di lavoratori over 60, più esposti agli incidenti, e a una diffusione maggiore dei contratti a tempo determinato, che con la continua rotazione di mansioni e impieghi impediscono che i lavoratori possano accumulare le competenze e le informazioni che servono ad evitare di farsi male, o peggio, morire. Sullo sfondo, gli ancora inadeguati investimenti in sistemi di prevenzione da parte di tante aziende, specie quelle più piccole, che costituiscono l’ossatura del sistema produttivo nazionale. E pesano drammaticamente i limiti evidenti del sistema delle ispezioni e dei controlli pubblici.



Bisogna osservare che non tutti gli infortunati censiti dall’Inail riceveranno un indennizzo economico: di norma solo il 65% dei casi vengono riconosciuti come tali. E bisogna ricordare che moltissimi infortuni sfuggono alle rilevazioni Inail. Restano fuori, ad esempio, tutti i lavoratori che per legge non devono iscriversi all’Inail, tutti i pensionati che lavorano (ad esempio in campagna), e naturalmente tutti i lavoratori in nero. Ecco perché l’Osservatorio indipendente sulla sicurezza sul lavoro di Bologna al 1° aprile conta per l’anno in corso 151 morti sul lavoro; molti di più rispetto ai 133 censiti nello stesso periodo del 2017.

Un problema serissimo è quello dell’inefficacia dei controlli. Con il «Jobs Act» si era deciso di riunificare in un solo servizio, l’Ispettorato nazionale del Lavoro, tutte le attività di controllo e ispezione in tema di lavoro e legislazione sociale, coordinando personale e banche dati. Ma doveva essere un’operazione senza aumenti di spesa, e si sono sottovalutate le complessità istituzionali e amministrative da superare. Risultato, a oggi la cabina di regia centralizzata per combattere le violazioni delle regole del lavoro – dalla sicurezza, al sommerso e nero, dal caporalato al corretto pagamento di stipendi e contributi – ancora non esiste.

La verifica tecnica su salute e sicurezza è ancora divisa tra Inl, che si occupa solo dell’edilizia, e i servizi di prevenzione delle Asl, che seguono tutti gli altri settori, industria compresa. Il coordinamento delle ispezioni è solo embrionale e le banche dati ancora non comunicano tra di loro. Infine, il personale è rimasto ancora in capo ai tre enti separati, e lamenta differenze salariali e la scarsezza dei mezzi per poter svolgere i controlli.

E si continuano a piangere i morti. I leader di Cgil-Cisl-Uil nelle dichiarazioni ricordano che dedicheranno il prossimo Primo Maggio al tema degli infortuni, chiedendo il varo di una strategia nazionale incentrata su controlli più stringenti, formazione, partecipazione. «Non si fa mai abbastanza per garantire la sicurezza», dichiara Confindustria, che ricorda che nel recente «Patto della Fabbrica» ha condiviso con i sindacati l’impegno a rivedere il Testo Unico sulla Sicurezza.


Fonte: ilsecoloXIX


 

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