Una materia difficilissima quella in ordine ai processi di valutazione della conoscenza e competenze professionali; quasi un percorso ad ostacoli, oppure un gioco dell’oca: si può ritornare sempre alla casella di partenza.
Ma esiste una metodologia empirica per il risk management?
Si sente parlare, in argomento, di tutto e di più; talvolta richiamando da un lato processi estremamente sofisticati quanto non del tutto coerenti e praticabili nella effettiva prassi di verifica ed accertamento, dall’altro difficilmente capaci di attestare attitudini ed expertise reali di un professionista del settore.
Partiamo da un presupposto: la disciplina del risk management non è una scienza esatta!
Non a caso viene invocata per cercare di ridurre al minimo le componenti di rischio in qualsiasi attività del genere umano; a partire da quelli nei quali può incorrere una casalinga nell’espletamento anche delle più banali faccende domestiche [e, purtroppo, fenomeno ancora molto sottovalutato: sappiamo quanto alta sia la percentuale d’incidenti anche in proporzione a quelli sul lavoro] fino alle più sofisticate e complesse implicazioni tecnologiche, ma non può eliminarle del tutto. In ambito Impresa 4.0 è in corso, tra l’altro, una nuova fase di studi e ricerca; la materia non ci ha presi alla sprovvista, tuttavia l’accelerazione e forte progressione, fa correre anche noi a tappe forzate.
Pertanto dire che una buona attività di risk management “azzera” completamente situazioni di pericoli è piuttosto azzardata quanto inesatta! Piuttosto deve contribuire a prevenirli, ridurli e contenerli al massimo.
Per contro, invece spesso e volentieri, sentiamo dire che il professionista certificato con una sorta di “bollino di qualità” è esente da compiere errori, infallibile. Riteniamo non essere così, anzi: capita di vedere operazioni borderline o perlomeno opinabili anche da parte di consulenti certificati.
Forse è opportuno mettere un po’ in ordine le cose; perché spesso possono crearsi dei misunderstanding fra varie categorie professionali, che rispondono a diverse “regole”, anche per diversa provenienza e percorsi di studio, generando verso l’utente finale [azienda o qualsivoglia organizzazione] una grande confusione o aspettative che spesso vanno disattese.
Cosa c’entra tutto ciò e cosa voglio arrivare semplicemente a dire. Ovvero che processi di risk management ed attività di certificazione sono attività spesso inconciliabili fra loro, non possono essere visti come antagonisti e tantomeno complementari fra loro.
Difficilmente un professionista del risk management può essere validato da un ente certificatore di qualità; a meno che non abbia maturato una comprovata forte esperienza della materia.
Dubito molto che un certificatore di qualità possa conservare competenze, ad esempio, per comprendere solo la bontà o meno di un professionista del risk management sull’applicazione di un algoritmo matematico in operazioni di corporate finance. Oppure intervenire su una due diligence in ambito M&A in Private Equity, dove necessitano competenze e, soprattutto, strumenti operativi forse nemmeno conosciuti dal certificatore; e taluni -dispiace dirlo- spesso anche con profili modesti a partire dagli studi, percorsi professionali e con poca esperienza manageriale o imprenditoriale alle spalle.
Spesso viene anche da domandarsi: “Ma chi ha certificato i certificatori?”
Forse è meglio che ognuno faccia il proprio mestiere meglio che può, aggiornandosi continuamente e dando sempre il massimo nella propria professione; perché il vero certificatore ultimo, di quello che siamo e di quello che facciamo, resta unicamente il mercato; vi assicuro molto attento e selettivo!
Giuseppe Pino, Owner & Founder “Pino Management & Partners”, Presidente CONFASSOCIAZIONI SUD ITALIA, Socio e componente Commissioni Banche AIFIRM [Associazione Italiana Financial & Industry Risk Managers]