“Il dipendente che rifiuta il vaccino in azienda può essere licenziato”. Ne è convinto Giuliano Cazzola, giuslavorista ed esperto di relazioni industriali. “Credo che il datore di lavoro – spiega ad Adnkronos/Labitalia – abbia il diritto di risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo, sia perché lui stesso risponderebbe dei danni e gravi e del decesso del renitente, sia perché ci sarebbe un problema di sicurezza per gli altri dipendenti”.
Sono molte le associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria, che si sono rese disponibili a procedere con le vaccinazioni in azienda. Ma le aziende potranno imporre la vaccinazione al dipendente ? “È più corretto dire che le aziende potranno esigere che il dipendente si sottoponga a vaccinazione come adempimento ad un obbligo inerente al rapporto di lavoro“, spiega Cazzola.
“Mi spiego meglio: a mio avviso – dice Cazzola – tutto discende dall’aver voluto attribuire (nel decreto Cura Italia) al contagio da Covid-19 contratto ‘in occasione di lavoro’ (e quindi anche in itinere) la fattispecie dell’infortunio sul lavoro equiparando la ‘causa virulenta’ alla ‘causa violenta’ necessaria per qualificare l’infortunio stesso. È stata una forzatura aver esteso le tutele necessariamente riconosciute al personale sanitario agli appartenenti a tutti settori assicurati all’Inail. L’infortunio sul lavoro si porta appresso, in caso di gravi danni o di decessi, una responsabilità penale del datore se si accerta che non ha provveduto a mettere in sicurezza il proprio dipendente”.
Dunque in caso di dipendente non vaccinato, “ci troveremmo di fronte (salvo più gravi violazioni) – commenta Cazzola – ad un caso di inidoneità sopravvenuta. In teoria il lavoratore potrebbe chiedere di essere adibito ad altre mansioni. Ma l’azienda potrebbe avere a disposizione posti compatibili con un rischio così grave ed imprevedibile (si pensi solo alla peculiarità dell’infortunio in itinere)? Il problema degli infortuni da Covid non è irrilevante: siamo ormai a livello di quasi 150mila infortuni con più di 450 decessi”, ricorda.
“È chiaro che l’ambito di responsabilità del datore non è limitato all’osservanza di quanto prevedono le norme di volta in volta vigenti (che non vengono neppure richiamate nell’articolo) in materia di sicurezza del lavoro – commenta il giuslavorista -: il confine è quello, tanto ampio da essere vago, mobile e imprevedibile, della ‘esperienza’ e della ‘tecnica’. In sostanza l’imprenditore spesso non sa come regolarsi. Pensi al caso dell’esposizione all’amianto: la lavorazione e l’uso di questo materiale killer sono stati proibiti solo nel 1992, ma tanti imprenditori sono stati chiamati a rispondere di un uso fatto in precedenza che, peraltro, era previsto nei capitolati di appalto”.
Una situazione che ha preoccupato il mondo dell’impresa “tanto che – ricorda Cazzola – il legislatore ha modificato il tiro (la preoccupazione per le possibili conseguenze era stata segnalata anche nel rapporto Colao) nel successivo decreto Liquidità stabilendo che i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure di tutela e prevenzione concordato con le parti sociali”. Tutto a posto allora? “Sì, ma questo è un modo di passare la palla alle parti sociali che, in presenza di un fatto nuovo, proprio perché le loro intese sono recepite dalla legge, hanno il dovere di fornire delle indicazioni precise”, risponde Cazzola.
Ma le parti sociali anche se si accordano, conclude Cazzola “non hanno la disponibilità di attribuire carattere di volontarietà ad una somministrazione tanto importante per la salute individuale, comunitaria e pubblica”. “Perché l’imprenditore potrebbe sempre essere chiamato in causa ex articolo 2087 C.C. essendo l’obbligo della sicurezza tutto suo, dal quale non può sottrarsi dicendo che si è accordato così con i sindacati o che il lavoratore si è sottratto (ovviamente salvo giustificato motivo che dovrebbe essere definito nei protocolli). Le procure sono in agguato e gli imprenditori hanno ragione a non fidarsi”.