A cura di Marco Gagliano, www.studio3job.it
Da dove è arrivato il Coronavirus? Chi lo trasmette? Si poteva evitare?
Tutte domande che ci poniamo ogni giorno da quando è partita l’epidemia che dalla Cina è arrivata in Europa, in Italia, ovunque. Scienziati, medici, studiosi di ogni parte del mondo hanno analizzato i dettagli di questo virus, ne hanno esplorato la genetica, la pericolosità, l’indice di diffusione alla ricerca di risposte. Sono coinvolte le abitudini alimentari rischiose dicono alcuni, mentre altri propendono di più per l’ipotesi legata alla vulnerabilità delle difese immunitarie umane. Tutte spiegazioni valide, provate e sicuramente concorrenti al verificarsi dell’epidemia.
C’è un importante dettaglio che in questa vicenda va considerato e va studiato, molti lo stanno già facendo e parecchi virologi lo hanno già evidenziato: il coronavirus porta nell’uomo una patologia infettiva definita come zoonosi. Una zoonosi è una malattia che si trasmette dall’animale all’uomo. Pertanto una concausa per quest’epidemia va cercata senza dubbio anche nel mondo animale, o meglio nel legame tra il mondo animale e quello umano. Gli animali sono molto più esposti di noi ad agenti patogeni zoonotici come il Coronavirus ed è facile comprendere che minore è la distanza tra noi e animali infetti, maggiore è la probabilità di infettarci.
Nel corso della storia si sono verificati parecchi esempi di zoonosi, basti affermare che ad oggi il 75 % delle patologie infettive è di natura zoonotica (OMS). La famosa “Spagnola” fu una zoonosi verificatasi prima in uccelli, poi passata alle anatre e infine all’uomo; l’influenza asiatica degli anni ’50 del secolo scorso nacque da un virus e passò dagli uccelli all’uomo; nel 1999 la “Nipah” partì dagli uccelli e arrivò all’uomo attraverso i maiali; la SARS nel 2003 fu causata da un virus che infettò i pipistrelli per poi passare all’uomo; l’influenza suina del 2009 fu causata da una combinazione di virus aviari, suini e infine umani; la MERS fu causata da un coronavirus partito dai pipistrelli, passato ai dromedari e per ultimo all’uomo; l’Ebola è un’influenza che ciclicamente si presenta in Africa e dal pipistrello infetta l’uomo.
Questi e altri esempi descrivono la quantità enorme di zoonosi studiate e confermate dalla scienza.
Denominatore spesso in comune alle zoonosi sopra citate è il pipistrello come ospite iniziale del virus patogeno; per arrivare all’uomo però, generalmente occorre un ospite intermedio che fa da tramite e permette al virus di modificarsi ed essere adatto a entrare e interagire con le cellule umane. Da queste informazioni importanti scaturiscono riflessioni e interrogativi che, sollevati e risolti, potrebbero condurre a soluzioni future contro le epidemie o potrebbero quanto meno fornirci armi di difesa migliori. In che senso? Esistono circa 750.000 specie di virus con potenziale zoonotico nelle specie selvatiche di animali: pensiamo quindi a quanto sia controproducente l’intervento umano nel modificare o spesso distruggere ecosistemi e habitat naturali degli animali selvatici. Infatti, oltre che mettere pesantemente a rischio la biodiversità (fatto già grave), espone l’uomo al contatto con numerose specie e i relativi microrganismi…e quindi al contagio. Pensiamo alla deforestazione, alla caccia, allo stress ambientale, agli allevamenti intensivi: quelle che oggi sono diventate prassi per l’uomo, non sono altro che anticamere del suo stesso ammalarsi, come dire che le sue azioni gli si ritorcono contro.
Il Coronavirus è partito da Wuhan, in Cina, non si sa ancora precisamente quando. Ma si sa che è partito da un animale ed è arrivato all’uomo, complici la commercializzazione di animali selvatici vivi e la loro macellazione nei mercati cittadini, poco prima della vendita.
Allora è il caso di capire se e quanto effettivamente abitudini umane scriteriate unite a condizioni igieniche scarse influiscano sulla diffusione dei patogeni. La causa di un’epidemia zoonotica non è solo banalmente il virus che infetta l’animale e poi l’animale che infetta l’uomo, ma la si può cercare nei comportamenti umani errati e sicuramente modificabili.
Intanto, la storia che si sta scrivendo in questi mesi ci insegna che il rischio biologico prende piede senza preavviso e non si affronta con facilità, per questo non va sottovalutato. Occorre giocare di anticipo, studiare e prevenire, affinché domani le conseguenze da pagare non siano immani come quelle di oggi.