La Corte di Cassazione e la repressione penale del lavoro nero, del caporalato, della intermediazione illecita di manodopera e dello sfruttamento del lavoro: una sentenza esemplare
Le recenti vicende legate alla tragica morte del lavoratore indiano Satnam Singh hanno portato alla ribalta la questione dello sfruttamento lavorativo in Italia, soprattutto nel settore agricolo ed edile. In questo contesto, la sentenza n. 24577 del 21 giugno 2024 della Corte di Cassazione rappresenta una pietra miliare nella lotta contro il lavoro nero e il caporalato.
Contesto e processo
Iniziamo dal contesto. La paga era di soli 5 euro l’ora e chi osava parlare veniva immediatamente licenziato. Due anni fa, un coraggioso operaio straniero, rivendicando il denaro arretrato, si rivolse alla CGIL di Firenze denunciando questi abusi. Da qui, la procura di Prato avviò un’indagine che portò all’arresto di dieci persone, tutte finite in carcere, mentre un’undicesima rimase latitante all’estero.
I protagonisti dell’associazione a delinquere: secondo il pm Lorenzo Gestri, i promotori dell’associazione a delinquere erano i proprietari di due imprese edili. Le imprese erano guidate da due fratelli egiziani e da un imprenditore calabrese. I loro collaboratori, incaricati principalmente della gestione e del controllo degli operai, erano tre cittadini magrebini.
Le indagini hanno svelato un sistema di reclutamento basato sullo sfruttamento: gli operai erano trattati come schiavi. In due anni, sono stati identificati circa sessanta operai sfruttati, molti dei quali senza permesso di soggiorno o senza contratto. Alcuni erano costretti a restituire parte del loro stipendio per mantenere il lavoro.
L’Inchiesta “Cemento Nero”
Gli arrestati includevano otto stranieri, per lo più egiziani, accusati di essere caporali. L’inchiesta, denominata ‘Cemento nero’, ha rivelato che i lavoratori venivano reclutati in una piazza di Prato e portati nei cantieri di varie città. Le condizioni di lavoro erano durissime: “Si lavora anche di notte se c’è bisogno,” dichiarava uno degli indagati.
Il processo ha visto i due fratelli egiziani e altre nove persone arrestati. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal loro avvocato, confermando la condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione patteggiata con il tribunale di Prato. Questa è la prima sentenza della Corte di Cassazione relativa al caporalato nell’edilizia in Toscana.
Fatti del Caso e Decisione della Corte sul caso di caporalato e sfruttamento
L’imprenditore calabrese è stato accusato di essere il capo di un’associazione per delinquere impegnata nell’intermediazione illecita e nello sfruttamento dei lavoratori, molti dei quali irregolari e senza contratto. Le attività illecite comprendevano l’impiego di lavoratori senza regolare permesso di soggiorno, false attestazioni di adempimento degli obblighi formativi e condizioni di lavoro degradanti.
Decisioni della Corte:
- Inammissibilità del Ricorso: La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’imputato, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Firenze.
- Conferma della Condanna: La Corte ha ribadito che, per configurare il reato associativo, non è necessaria la consumazione dei reati fini.
- Condanna alle Spese: Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali, una somma di 3000 euro in favore della Cassa delle ammende e a rifondere le spese sostenute dalle parti civili.
Precedenti Giurisprudenziali Citati e caporalato
La sentenza ha fatto riferimento a diversi precedenti giurisprudenziali che hanno contribuito a delineare la struttura legale per i reati associativi e di sfruttamento lavorativo:
- Sez. 4, n. 49781 del 9/10/2019, Kuts: Questo precedente definisce gli indici di sfruttamento come condizioni di pregiudizio e soggezione rilevanti per il lavoratore.
- Sez. 3, n. 40749 del 5/3/2015, Sabella: Stabilisce che la commissione dei reati fini non è necessaria per provare l’esistenza del reato associativo.
- Sez. 6, n. 36131 del 13/5/2014, Torchia: Definisce l’accordo criminoso nel concorso di persone come limitato alla commissione di reati specifici.
- Sez. 4, n. 45615 dell’11/11/2021, Mazzotta: Riafferma che in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, ogni singolo lavoratore è protetto in modo indipendente e non come parte di un gruppo collettivo.
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Questa sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un passo importante nella lotta contro lo sfruttamento lavorativo e l’intermediazione illecita. La decisione ribadisce l’importanza di un’azione coordinata e stabile nella configurazione di un’associazione a delinquere, confermando che non è necessaria la consumazione dei reati specifici per configurare l’associazione.
La sentenza consolida ulteriormente la giurisprudenza italiana, fornendo un forte deterrente contro le attività criminali organizzate nel settore del lavoro. È una chiara dimostrazione che la giustizia italiana è pronta a combattere e a reprimere severamente il lavoro nero, il caporalato e lo sfruttamento, assicurando che chi viola la legge non possa sfuggire alle proprie responsabilità.
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