Un articolo ha presentato uno studio sulle condizioni di lavoro nella logistica, soprattutto in termini di tempo e salute. Un approfondimento sui dati relativi agli incidenti, ai magazzini e all’impatto delle nuove tecnologie.
La logistica, settore importante per l’organizzazione dell’approvvigionamento e della distribuzione di materiali, scorte e prodotti, ha avuto, negli ultimi anni, un notevole sviluppo. In particolare “la globalizzazione dei commerci e lo sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione, che consentono la gestione delle catene del valore su scala globale, hanno reso l’attività logistica strategica per la produzione e distribuzione delle merci”. Tuttavia questi processi hanno consentito, al contempo, la diffusione di pratiche di decentramento e outsourcing (affidamento di lavori all’esterno) “prima impensabili”.
E riguardo al settore della logistica sono stati sollevati più volte in questi anni preoccupazioni riguardo alla tutela della salute e sicurezza. Il lavoro di magazzino, “in particolare, risulta molto ripetitivo, sistematicamente sottoinquadrato e con elevati rischi per l’apparato muscoloscheletrico”. E le condizioni di lavoro si caratterizzano spesso per “l’imposizione di ritmi di lavoro particolarmente intensi e con turni particolarmente lunghi”.
A presentare in questi termini il settore della logistica e a proporre interessanti riflessioni anche in materia di salute e sicurezza è un saggio – dal titolo “Studio sulle condizioni di lavoro nella logistica: tempo e salute” – pubblicato sul numero 2/2020 del “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista dell’Osservatorio Olympus e pubblicazione semestrale dell’ Università degli Studi di Urbino.
Il contributo – a cura di Andrea Allamprese (professore associato di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia) e Olivia Bonardi (professoressa ordinaria di Diritto del lavoro presso l’Università Statale di Milano) – presenta un’analisi della gestione del tempo e della salute e sicurezza delle principali categorie professionali.
E si ricorda che “per quanto il settore trasporti e logistica sia scarsamente definibile e richieda l’impiego di lavoratori con diverse qualificazioni, sostanzialmente la stragrande maggioranza delle attività può essere ricondotta a due specifiche categorie di lavoratori: gli addetti ai magazzini e i trasportatori”.
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Il settore della logistica e i dati relativi agli infortuni
Il contributo indica che per entrambe le categorie di lavoratori individuate sopra, prese in considerazione in questo lavoro che ci accingiamo a presentare, “le difficoltà maggiori derivano dal cumulo delle mansioni, dai ritmi e dagli orari di lavoro, anche se in alcuni settori specifici – come, ad esempio, quelli relativi alla filiera del freddo – si pongono specifiche problematiche, anche in termini di requisiti degli ambienti di lavoro”.
Quali sono i dati relativi agli infortuni?
Si indica che in ambito europeo, i dati statistici relativi al tasso di infortuni nel settore H – Trasporto e magazzinaggio (Codice Ateco) “non sono precisi e scontano diverse lacune, dovute sia alla difficoltà di uniformazione dei dati a livello europeo (a causa dei diversi sistemi assicurativi presenti nei vari Stati), sia alla mancata considerazione – per una buona parte dei paesi – dei lavoratori autonomi, sia – ed è questo il punto qui più rilevante – da parte dei sistemi di raccolta dati di alcuni Stati proprio di quelli relativi al settore logistico”.
Al netto di tali lacune – continuano gli autori – “gli infortuni nel settore H sono stati pari, nel 2016, a 269.527, con una lieve riduzione nel corso degli anni, che peraltro sembra riflettere anche l’andamento economico, in quanto il calo più significativo si è realizzato nel periodo di crisi tra il 2008 e il 2010. Il dato degli infortuni si è poi assestato sostanzialmente, a partire dal 2011, tra i 280.000 e i 270.000”.
I dati nazionali “confermano una sostanziale stabilità del numero di infortuni, che, seppure con alcune oscillazioni, rimane sempre sopra la quota 40.000. Secondo la banca dati delle professioni dell’INAIL, gli infortuni del personale non qualificato addetto allo spostamento e alla consegna merci (categoria 8.1.3) sono stati 20.808 nel 2018; di questi ultimi, gli infortuni mortali sono stati 35, in significativo aumento rispetto agli anni precedenti”. Oltre il 60% degli infortuni “è dovuto a contusioni, distorsioni, lussazioni e distrazioni; il 16,2% è dovuto a ferite; 13,2 % a fratture” (Banca dati delle professioni INAIL).
La salute e sicurezza nella logistica e le nuove tecnologie
Riguardo alle problematiche e ai fattori di rischio ci soffermiamo in particolare sulle tecnologie del lavoro logistico in relazione al loro impatto sulla salute.
Si segnala che a livello generale “la dottrina si è a lungo interrogata sull’impatto delle nuove tecnologie sulle condizioni di lavoro”.
Ad esempio un primo genere di problematiche è quello “connesso alle modalità di gestione dell’intreccio tra tempi di vita lavorativa e tempi di vita fuori dal lavoro, che comporta l’emergere di nuovi rischi (fisici e psico-sociali) per la salute e sicurezza prodotti dalle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro”. E al di là dei “rischi sociali tipici di ogni rapporto di lavoro”, nel lavoro svolto attraverso l’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC) “si segnalano rischi specifici che sono dovuti all’uso stesso delle tecnologie digitali”.
Un rischio evidenziato è di “vedere espanso illimitatamente l’arco temporale dell’attività professionale, senza limiti all’orario di lavoro, con lesioni della salute del lavoratore e una compressione del tempo libero”. In questo senso l’interferenza tra tempo di vita lavorativa e tempo di vita extra-lavorativa, “generata dall’utilizzo delle tecnologie digitali (con implicazioni sulla sfera della salute e della riservatezza), esige un’apposita considerazione, ben oltre la tenue previsione in tema di ‘diritto alla disconnessione’, prevista nella legge n. 81/2017 sul lavoro agile.
Inoltre – continua il saggio – “accanto all’intensificazione dei ritmi e alla dilatazione dei tempi di lavoro, devono considerarsi lo stress da sovraccarico di informazioni da gestire ed elaborare, i problemi dovuti a cattive posture e gli effetti sul fisico dell’uso continuo delle tecnologie, senza dimenticare l’esposizione a radiazioni nocive prodotte dagli strumenti tecnologici”.
Riguardo in particolare alla costituzione in capo al lavoratore di un “ diritto alla disconnessione” dagli strumenti digitali, si segnala, come indicato sopra, che “il legislatore italiano se ne fa carico soltanto con riferimento al lavoratore subordinato ‘agile’, perché soltanto per esso prevede, tra i contenuti dell’accordo individuale sul lavoro agile, oltre ai tempi di riposo del lavoratore, anche ‘le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro’ (art. 19, comma 1, secondo periodo, della l. n. 81/2017)”. E dunque ci si deve interrogare se non sia utile, invece, “estendere l’interesse alla disconnessione, previsto legislativamente per il lavoratore agile, anche ad altre categorie di lavoratori”.
Il documento fa poi riferimento anche ad altri aspetti relativi all’evoluzione tecnologica, ad esempio in relazione alle funzioni di assistenza con accesso ai dati mediante cellulare o dispositivi indossabili (braccialetti, occhiali smart, sistemi di comando vocale, …) e rispetto a questo tipo di dispositivi “è difficile ipotizzare la possibilità di un’estensione delle prescrizioni di sicurezza connesse all’utilizzo di videoterminali, che, peraltro, proprio alla luce dei mutamenti in atto, risulta quanto meno bisognosa di aggiornamento. È infatti prevedibile che l’utilizzo di simili tecnologie possa influenzare l’ergonomia del lavoro in modo significativo, sia migliorandola, sia costringendo a posizioni e movimenti che potrebbero non essere del tutto naturali”.
Gli autori, che accennano poi, tra le altre cose, anche ai mezzi di lavoro automatizzati e agli esoscheletri, sottolineano che alla luce di quanto segnalato “pare che si possa concludere che l’introduzione delle nuove tecnologie non elimini i rischi per la tutela della salute e sicurezza e che invece abbia l’effetto di modificare i fattori di rischio, ponendo, altresì, sotto tensione la disciplina giuridica”.
Potrebbe apparire semplicistico e fuorviante ritenere che “l’introduzione delle tecnologie sia in grado di risolvere tout court i problemi di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori addetti alla logistica”. Si deve, invece, “innalzare il livello di attenzione, come del resto prevede il principio generale vigente in materia, che esige di valutare i rischi anche in occasione dell’introduzione di nuove tecnologie e di verificare altresì se la normativa in materia di salute e sicurezza risulti tuttora adeguata a regolare il nuovo contesto organizzativo o se, quanto meno per quanto attiene ai requisiti di sicurezza di macchinari, attrezzature e dispositivi di protezione, non si renda opportuno un suo aggiornamento”.
Logistica: lo stress, gli algoritmi e il controllo sui lavoratori
Il documento indica che è necessario “avviare una riflessione sugli intrecci che l’introduzione di nuove tecnologie crea tra le istanze di tutela della salute e le funzioni di controllo sui lavoratori. Non sono pochi, infatti, i dispositivi e le attrezzature di lavoro che sono utilizzati ai fini del controllo sul lavoratore, anzitutto – come detto sopra – per allertarlo in caso di errore, ma gli usi che se ne potrebbero fare sono molteplici”.
E sistemi di questo genere “possono evidentemente prestarsi anche a forme di controllo intensificato sullo svolgimento della prestazione” che creano problematiche nuove “non solo sotto il profilo del rispetto del diritto alla riservatezza del lavoratore, ma anche sul piano dei rischi di carattere psicosociale che si possono innescare nell’ambiente di lavoro, con l’intensificazione dei ritmi e con la sottoposizione dei lavoratori a livelli di stress eccessivi”.
Si segnala poi che laddove le soluzioni tecnologiche “siano inserite in un sistema di organizzazione del lavoro governato da algoritmi e dalla forte integrazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, i temi della definizione dei poteri di organizzazione del lavoro, della predisposizione delle misure di protezione e soprattutto di procedure di lavoro sicure si pongono in termini di rinnovata centralità”.
Sarebbe poi da approfondire la questione dei “modi in cui i lavoratori e i loro rappresentanti possano interagire nei processi di definizione degli algoritmi, in modo da poter fare emergere i pericoli, i disagi e le loro esigenze”.
In conclusione, dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, il saggio osserva che i rischi connessi all’utilizzo delle nuove tecnologie “devono essere integrati nella valutazione dei rischi e soprattutto che i soggetti – dirigenti e preposti in primis, ma anche gli addetti al servizio di prevenzione e protezione e il medico competente – devono poter agire sui meccanismi di intelligenza artificiale adeguandoli alle esigenze prevenzionistiche”.
Si ricorda, a questo proposito, che la legislazione italiana “prevede che nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) siano indicate le procedure per l’attuazione delle misure da realizzare e i ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere (art. 28, comma 2, lett. d, del d.lgs. n. 81/2008)”. Un simile approccio presuppone, tuttavia, “un approfondimento, dal punto di vista generale, del ruolo della contrattazione e degli assetti contrattuali nei contesti di innovazione tecnologica”.
Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del saggio che si sofferma anche su altri aspetti e fattori di rischio (appalti, rischi organizzativi, flessibilità, …) con riferimento anche alla salute e sicurezza su camion, furgoni e altri veicoli a due ruote.