Un documento del CNI si sofferma sui rischi connessi alle attività di smart working in merito alla strumentazione fornita ai lavoratori. Computer, tablet, smartphone, stampanti, fotocopiatrici, distruggidocumenti e manutenzione: tutti devono essere sicuri.
Il datore di lavoro, oltre a fornire ai lavoratori attrezzature e dispositivi necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa, deve considerare anche gli aspetti legati alla sicurezza e alla salute degli smart workers (agenti fisici, rischi microclimatici, rischi elettrici, rischi psicosociali, tecnostress, …)
Tali aspetti di sicurezza riguardano anche, in modo specifico, le strumentazioni e gli applicativi forniti ai lavoratori.
Per avere qualche informazione su questo aspetto e favorire un’adeguata prevenzione dei rischi nel lavoro agile, torniamo a sfogliare il documento “ Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working” che, elaborato dal Consiglio Nazionale Ingegneri (CNI), analizza varie tipologie di rischi connessi alle attività in smart working.
Il documento sottolinea non solo che le strumentazioni utilizzate possono essere varie, ma che “ciascuna di esse può comportare la presenza di sorgenti di rischio”.
Ad esempio si segnala, soprattutto nel caso di lavoro agile svolto dal lavoratore presso la propria abitazione, che “è opportuno per l’azienda confrontarsi con quest’ultimo in merito all’eventuale necessità di un ulteriore elemento illuminante portatile se la stanza utilizzata non consente un’illuminazione adeguata alla sua postazione domestica”. E anche il trituratore di documenti, se fornito al lavoratore, potrebbe essere un argomento “da trattare accuratamente prima dell’attivazione della modalità smart working, per evitare che il lavoratore possa ad esempio mettere in pericolo la sicurezza di propri familiari, soprattutto nel caso in cui vi siano a casa figli di minore età”.
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Computer, tablet e smartphone
Il documento CNI si sofferma sulle principali strumentazioni utilizzate per attività di ufficio partendo, chiaramente, dalle apparecchiature elettroniche come computer, laptop, tablet, i-pad e smartphone.
Si segnala che per il datore di lavoro “è necessario prima di tutto verificare la disponibilità di queste strumentazioni per il lavoratore che opererà in modalità smart working. Qualora il lavoratore non ne avesse la disponibilità dovrà essere formalizzata nell’ambito della contrattazione l’eventuale fornitura se necessaria. Non solo, dovrà essere verificata anche la disponibilità degli accessori necessari ai fini della sicurezza ergonomica. Un esempio evidente è fornito dalla verifica che abbia in dotazione il mouse, perché è assolutamente sconsigliabile il continuo utilizzo esclusivo del touchpad in quanto ergonomicamente sfavorevole”. E anche l’utilizzo esclusivo del tablet “potrebbe comportare problemi ergonomici al lavoratore agile in quanto non usato solitamente con il mouse, nonostante in tutti i modelli ve ne sia la disponibilità di collegamento”.
In relazione alla tipologia di strumentazione elettronica portatile utilizzata vi possono essere rischi ergonomici o rischi per l’apparato oculare del lavoratore, come, ad esempio, con “l’impiego troppo diffuso dello smartphone anche per attività, come ad esempio la gestione della posta elettronica che spesso può richiedere molto tempo, per le quali sarebbe importante sensibilizzare lo smart worker dell’importanza di privilegiare, per effettuare tali operazioni, l’uso del computer o del laptop”.
In definitiva riguardo a queste apparecchiature “è fondamentale che l’azienda, grazie soprattutto alla competenza del RSPP e/o del Medico Competente, attivi una verifica delle modalità d’uso di tutte le strumentazioni elettroniche portatili, e non solo, in quanto la responsabilità in merito alle possibili conseguenze per la salute e la sicurezza del dipendente ricadono sulla figura del datore di lavoro, non soltanto se le stesse strumentazioni sono fornite dalla società al lavoratore, ma anche se le stesse sono di proprietà del lavoratore agile”.
Stampanti, fotocopiatrici e toner
Il documento si sofferma poi su alcuni rischi connessi alle stampanti, fotocopiatrici e toner.
In particolare si indica che “sia durante il processo di stampa laser che di riproduzione con fotocopiatrice si attuano processi chimico-fisici che danno luogo all’emissione di polveri (particelle di carta e/o di toner), di ozono e/o di composti organici volatili (COV) la cui quantità/qualità dipende:
- dalla tecnologia costruttiva delle attrezzature in analisi;
- dall’usura e dallo stato di manutenzione delle apparecchiature;
- dalla qualità dei consumabili (toner e carta, principalmente);
- dalle condizioni ambientali dei locali in cui si lavora”.
Se poi alcune di queste criticità non sono presenti nel caso specifico delle stampanti a getto d’inchiostro (inkjet), possono essere presenti problematiche parallele, “legate al metodo di produzione degli inchiostri che può includere solventi organici come il MEK (metiletilchetone)”.
Anche se le sostanze in esame, prese singolarmente, difficilmente raggiungono “valori di concentrazione tali da costituire una fonte immediata di rischio, è possibile che alcuni soggetti manifestino disturbi aspecifici quali prurito, irritazione cutanea, bruciore agli occhi, tosse, dispnea, asma e/o mal di testa”.
Per gestire opportunamente il rischio residuo, “si può provvedere a:
- ridurre per quanto possibile il ricorso alla stampa tradizionale, favorendo la produzione e lo scambio di documenti nativi digitali;
- collocare le attrezzature di stampa e fotoriproduzione in ambienti non condivisi e non di passaggio. Evitare la vicinanza a fonti di calore dirette;
- conservare ricambi e consumabili in spazi dedicati alla cancelleria, verificandone periodicamente l’integrità e l’eventuale data di scadenza. Evitare luoghi umidi, ovvero troppo caldi e/o esposti alla luce diretta del sole;
- scegliere attrezzature e/o consumabili dotati di certificazione energetica e ambientale;
- migliorare la ventilazione dei locali, favorendone il ricambio d’aria;
- evitare comportamenti che possano acuire il profilo di rischio iniziale (es. il fumo)”.
Attrezzature distruggidocumenti e manutenzione
Come accennato in premessa il documento si sofferma anche sui dispositivi distruggidocumenti.
Si segnala che anche “l’uso prolungato delle attrezzature distruggidocumenti (ad esempio le trituratrici di documenti)” comporta problematiche simile a quelle viste per le stampanti riguardo alle polveri fini (particelle di carta) disperse nell’ambiente.
Se è raro che questa strumentazione sia utilizzata da lavoratori che svolgono le proprie mansioni in modalità smart working, nel caso è bene fornire alcune indicazioni al lavoratore e allo “scopo di gestire opportunamente il rischio residuo, si può provvedere a:
- abbreviare i cicli di dematerializzazione;
- attuare la dematerializzazione e la raccolta dei residui in ambienti ben ventilati;
- indossare guanti”.
A questo proposito si ricorda poi che un discorso a sé “è costituito dalla gestione della distruzione di grossi volumi di documenti stampati su carta termica, caratterizzata alla presenza di BPA e BPS che possono essere assorbiti direttamente per via cutanea e/o tramite l’inalazione del pulviscolo generato all’atto della dematerializzazione comportando ─ tra l’altro ─ un bioaccumulo da cui possono derivare problematiche neurologiche, oncologiche e/o un aumento dell’infertilità”.
Il documento si sofferma poi sulla “manutenzione della strumentazione fornita al lavoratore agile” che è senza dubbio “un ulteriore elemento da considerare nella valutazione dei rischi e per la conseguente adozione di efficaci misure di prevenzione e protezione. Non sempre la manutenzione specifica sarà necessaria, ad esempio per la strumentazione portatile, ma è sicuramente utile in alcuni casi come l’eventuale fornitura di stampanti di grandi dimensioni o di tritadocumenti”.