Un documento del CNI sulle attività in smart working si sofferma sui pericoli della troppa esposizione agli schermi del computer e sul multitasking. I rischi della luce blu, i fattori che causano la sindrome da visione e la riduzione dei sintomi.
Presentando nei mesi scorsi il documento elaborato dal Consiglio Nazionale Ingegneri ( CNI) “ Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working” abbiamo affrontato varie tipologie di rischi connessi alle attività in smart working. Abbiamo parlato, ad esempio, di rischi connessi ad agenti fisici, al rischio rumore, al rischio microclimatico, all’esposizione ai campi elettromagnetici, ma anche di sicurezza delle informazioni, di rischi elettrici, ergonomici e correlati alla prevenzione incendi.
Non potevamo poi non accennare anche ai rischi psicosociali, allo stress lavoro correlato, al rischio tecnostress e ai problemi della eventuale sovrapposizione tra spazi lavoratori e spazi famigliari.
La pubblicazione del CNI – curata dall’Ing. Gaetano Fede, dall’Ing. Stefano Bergagnin e dal Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine” – si sofferma tuttavia anche su un particolare rischio che è connesso, come per il tecnostress, alle conseguenze di un utilizzo intensivo di computer ed altri dispositivi elettronici: la sindrome da visione al computer.
Si fa poi riferimento anche ad una tematica che nel contesto dello smart working è frequente, il “multitasking”, cioè la capacità/necessità di svolgere più compiti nello stesso momento (parlare al telefono, rispondere a una mail, verificare un file, scrivere al computer, …).
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Il documento CNI indica che la sindrome da visione al computer è “il risultato dell’utilizzo intensivo di computer ed altri dispositivi elettronici. I sintomi sono vari e sono di tipo visivo, neurologico e muscolo-scheletrico. Non si presentano necessariamente tutti insieme e variano molto da persona a persona, a seconda delle abitudini e del modo in cui si sta davanti al computer o di come si usano gli altri dispositivi elettronici”.
Si segnala che “i fattori più comuni che causano la sindrome da visione al computer sono:
- illuminazione insufficiente;
- riflessi sul display digitale;
- distanza non adeguata dal terminale;
- postura errata”.
La parte generalmente più colpita dalla sindrome – continua il documento – è l’occhio e le problematiche più frequenti “sono la visione doppia, la vista offuscata, bruciori e prurito, arrossamento del bulbo e secchezza oculare”.
Questi sintomi “possono essere dovuti a diversi fattori:
- la luce emessa con forte componente blu dagli schermi, poco naturale e che affatica la vista;
- la scarsa risoluzione sui monitor”.
Tuttavia, per quanto fastidiosa, la sindrome da visione al computer “porta a sintomi temporanei e non sono noti casi di danni nel lungo periodo”.
Il documento riporta poi alcuni accorgimenti che “possono aiutare a ridurre sintomi e fastidi dovuti alla sindrome:
- “l’utilizzo di uno schermo ad alta definizione che può rendere meno faticosa la lettura a video, grazie ai caratteri più definiti e al maggiore contrasto;
- il monitor tenuto a distanza di 50-70 centimetri dagli occhi, con il suo bordo superiore alla stessa altezza degli occhi, in modo da tenere la testa lievemente inclinata verso il basso;
- la luminosità dello schermo di poco superiore a quella dell’ambiente circostante, in un ambiente di lavoro non troppo luminoso e privo di riflessi che confondono la vista”.
Si segnala che “non potendo l’azienda (né il datore di lavoro né il RSPP) controllare che tali condizioni vengano rispettate dal lavoratore qualora operi in luoghi privati e non in ambienti di lavoro coworking, è necessario che venga programmata una informazione e formazione del lavoratore agile affinché maturi una sensibilità necessaria a ridurre questo specifico rischio utilizzando gli strumenti organizzativi e strumentali evidenziati”.
Smart working, effetti della luce blu e multitasking
Il CNI segnala poi che l’utilizzo di dispositivi a LED (PC, tablet, smartphone, ecc.) “ha aumentato notevolmente l’esposizione a fonti di luce dannose”.
Come ricordato anche in vari articoli sulle radiazioni ottiche naturali la luce blu può rappresentare un rilevante fattore di rischio per i nostri occhi.
Con il termine “luce blu” ci si riferisce “a una componente di radiazione elettromagnetica dello spettro del visibile nelle lunghezze d’onda tra i 380 e i 500 nm” che risulta pericolosa nei casi in cui i suoi valori siano ricompresi tra i 390 e i 455 nm”.
Il problema è che le nuove sorgenti luminose (come, ad esempio, i LED) “sono state progettate per migliorare e facilitare la nostra vita, ma emettono una quantità di luce blu maggiore rispetto alle tradizionali lampadine del passato”.
Per questo motivo nelle attività in smart working è opportuno “privilegiare strumentazioni (come, ad esempio, smartphone o tablet) dotati di filtro della luce blu”.
Quali sono gli effetti di una sovraesposizione da luce blu?
Gli effetti possono essere suddivisi:
- nel breve periodo: “dopo 6-8 ore, il 91% delle persone soffre di:
- rossore e occhi irritati: per lungo tempo si fissano schermi retroilluminati;
- secchezza degli occhi: dovuta alla minor frequenza dell’ammiccamento (battito di ciglia) e alla conseguente minor lacrimazione e lubrificazione del tessuto trasparente che si trova nella parte anteriore dell’occhio;
- astenopia: stanchezza visiva per l’eccessiva esposizione alla Luce Blu e lo sforzo della lettura di caratteri molto piccoli;
- insonnia: la Luce Blu inibisce la secrezione di melatonina;
- mal di testa: per l’eccessivo affaticamento degli occhi.
- nel lungo periodo: con il passare del tempo, “la luce blu può portare a un abbassamento delle densità del pigmento maculare, che a sua volta potrebbe causare lo sviluppo della maculopatia”.
Infine si segnala che laddove non siano presenti nelle strumentazioni dei filtri specifici per la luce blu, “un valido aiuto può venire dall’uso di attrezzature adeguate, come appositi occhiali o pellicole schermanti”.
Segnaliamo, in conclusione, che il documento si sofferma anche sul multitasking (la tendenza o la necessità a svolgere più compiti contemporaneamente) e sul deficit dell’attenzione.
In particolare il multitasking “è un fattore caratterizzante delle attività in modalità di lavoro agile e, al contempo, si rivela essere un elemento trasversale a diverse tipologie di mansioni (specie se queste coinvolgono l’uso di strumenti digitali contemporaneamente all’impiego di attrezzature e/o alla manovra di veicoli) con una diretta incidenza sulla probabilità:
- di peggiorare il livello di attenzione individuale nel complesso;
- di commettere errori, ovvero di causare / subire incidenti”.